Cosa ci aspettiamo dalla poesia?

G.Berchiesi

Domanda a cui non è facile rispondere con una semplice frase. Possiamo dire che ci sono vari gradi di poesia? In una festa conviviale la poesia in genere è un insieme più o meno ordinato di luoghi comuni tenuti insieme dalla rima o dalla metrica. E questo indipendentemente dal livello sociale e intellettuale.

Ho avuto modo, ad esempio, di leggere alcune poesie celebrative del matrimonio tra il marchese Morici di Fermo e la contessa Teresa Conti di Tolentino (inizio 800): niente di più banale e scontato. Analogamente ho letto, riordinando il materiale del Comune di Petriolo, un libiricino di Poesie scritte dal marchese Ciccolini, che godeva fama di letterato e che suscitò un'onda di consensi entusiatsici di altri letterati. Un coacervo di amorini, ninfe e muse era la Poesia di Ciccolini. Quindi un'ammucchiata di luoghi comuni e scontati era etichettata come tessuto poetico. Ma con la sensibilità di oggi lo giudichiamo come gioco di società in cui solo la rima può essere legame con altre espressioni che la storia ci ha tramandato come poesie autentiche,

La poesia è una forma di comunicazione che diffonde il mondo interiore del poeta al lettore. Ogni forma di comunicazione però ha caratteristiche peculiari:

può essere Matematica, logico-filosofica, descrittiva, storica, Poetica.

Su tutte, l'espressione comunicativa di tipo poetico emerge per l'aspetto musicale. Eredi della poetica greca e latina, la metrica da un ritmo pulsante alle parole, molto prossimo al linguaggio musicale:


Ἀλλ' ὅτε δὴ πόρον ἷξον ἐϋῤῥεῖος ποταμοῖο
Ξάνθου δινήεντος, ὃν ἀθάνατος τέκετο Ζεύς,
ἔνθα διατμήξας τοὺς μὲν πεδίον δὲ δίωκε
πρὸς πόλιν, ᾗ περ Ἀχαιοὶ ἀτυζόμενοι φοβέοντο
ἤματι τῷ προτέρῳ, ὅτε μαίνετο φαίδιμος Ἕκτωρ·

(dal canto 21° dell'Iliade)


Inoltre, spesso ma non sempre, anche la rima, cioè l'assonanza tra parole finali di versi vicini, concorre a creare questa musicalità.

Pianto antico

(Giosuè Carducci)

L'albero a cui tendevi
la pargoletta mano,
il verde melograno
Dà bei vermigli fiori
Nel muto orto solingo
Rinverdì tutto or ora,
E giugno lo ristora
Di luce e di calor.
Tu fior de la mia pianta
Percossa e inaridita,
Tu de l'inutil vita
Estremo unico fior,
Sei ne la terra fredda,
Sei ne la terra negra;
Né il sol piú ti rallegra
Né ti risveglia amor.



IL PASSERO SOLITARIO

(G.Leopardi)


D'in su la vetta della torre antica,
Passero solitario, alla campagna
Cantando vai finchè non more il giorno;
Ed erra l'armonia per questa valle.
Primavera dintorno
Brilla nell'aria, e per li campi esulta,
Sì ch'a mirarla intenerisce il core.
Odi greggi belar, muggire armenti;
Gli altri augelli contenti, a gara insieme
Per lo libero ciel fan mille giri,
Pur festeggiando il lor tempo migliore:
Tu pensoso in disparte il tutto miri;
Non compagni, non voli,
Non ti cal d'allegria, schivi gli spassi;
Canti, e così trapassi
Dell'anno e di tua vita il più bel fiore.
Oimè, quanto somiglia
Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
Della novella età dolce famiglia,
E te german di giovinezza, amore,
Sospiro acerbo de' provetti giorni
Non curo, io non so come; anzi da loro
Quasi fuggo lontano;
Quasi romito, e strano
Al mio loco natio,
Passo del viver mio la primavera.
Questo giorno ch'omai cede alla sera,
Festeggiar si costuma al nostro borgo.
Odi per lo sereno un suon di squilla,
Odi spesso un tonar di ferree canne,
Che rimbomba lontan di villa in villa.

Tutta vestita a festa

La gioventù del loco
Lascia le case, e per le vie si spande;
E mira ed è mirata, e in cor s'allegra.
Io solitario in questa
Rimota parte alla campagna uscendo,
Ogni diletto e gioco
Indugio in altro tempo: e intanto il guardo
Steso nell'aria aprica
Mi fere il Sol che tra lontani monti,
Dopo il giorno sereno,
Cadendo si dilegua, e par che dica
Che la beata gioventù vien meno.

Tu, solingo augellin, venuto a sera
Del viver che daranno a te le stelle,
Certo del tuo costume
Non ti dorrai; che di natura è frutto
Ogni vostra vaghezza.
A me, se di vecchiezza
La detestata soglia
Evitar non impetro,
Quando muti questi occhi all'altrui core,
E lor fia voto il mondo, e il dì futuro
Del dì presente più noioso e tetro,
Che parrà di tal voglia?
Che di quest'anni miei? che di me stesso?
Ahi pentirommi, e spesso,
Ma sconsolato, volgerommi indietro.


Leopardi ad esempio non usa la rima, ma forse è il più musicale dei poeti.

Ma a parte questi aspetti che possiamo definire “formali”, quale è il contenuto della poesia? Non c'è nella poesia un limite al soggetto: si può andare dal sentimento al pensiero Infatti non si deve credere che un pensiero sia più adatto ad un saggio che alla poesia. Basta spaziare dal Carducci a Pascoli, basta pensare all'albero a cui tendevi la pargoletta mano, ripensare a San Lorenzo io lo so perchè tanto di stelle per l'aria tranquilla arde e cade, perché si capisca che i sentimenti, le sofferenze giochino un ruolo fondamentale nell'espressione poetica, dopo che questi sentimenti hanno fatto un percorso di pulizia emotiva nella mente dell'autore. Quindi il dolore in questi poeti ha avuto un percorso nella mente, nel pensiero dell'artista per trovare una forma espressiva, che ha attenuato le punte dolorose più pungenti, trovando così un equilibrio e l'aspetto meno individualistico.

Se poi si pensa a Leopardi e al suo Infinito sembra quasi che sia un soggetto di natura filosofica, che nell'autore si è rivestito di una musicalità e di una visione fatalistica della vita, fino a diventare poesia.







L'Infinito
(G.Leopardi)
Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare.


Leggiamo cosa scrive Leopardi nello Zibaldone:


Dolor mio nel sentire a tarda notte seguente al giorno di qualche festa il canto notturno de' villani passeggeri. Infinità del passato che mi veniva in mente, ripensando ai Romani così caduti dopo tanto romore e ai tanti avvenimenti ora passati ch'io paragonava dolorosamente con quella profonda quiete e silenzio della notte, a farmi avveder del quale giovava il risalto di quella voce o canto villanesco.


Non sembra forse una prova in prosa del tessuto dell'Infinito?

Come pure, sempre nello Zibaldone leggiamo:


Il più solido piacere di questa vita è il piacere vano delle illusioni. Io considero le illusioni come una cosa in certo modo reale stante ch'elle sono ingredienti essenziali del sistema della natura umana, e date dalla natura a tutti quanti gli uomini, in maniera che non è lecito spregiarle come sogni di uno solo, ma propri veramente dell'uomo e voluti dalla natura, e senza cui la vita nostra sarebbe la più misera e barbara cosa. Onde sono necessari ed entrano sostanzialmente nel composto ed ordine delle cose.


Non è forse una prova di quello che poi entrerà come tessuto di A Silvia?












A Silvia

(G.Leopardi)



Silvia, rimembri ancora
quel tempo della tua vita mortale,
quando beltà splendea
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
e tu, lieta e pensosa, il limitare
di gioventù salivi?

Sonavan le quiete
stanze, e le vie d'intorno,
al tuo perpetuo canto,
allor che all'opre femminili intenta
sedevi, assai contenta
di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
così menare il giorno.

Io gli studi leggiadri
talor lasciando e le sudate carte,
ove il tempo mio primo
e di me si spendea la miglior parte,
d’in su i veroni del paterno ostello
porgea gli orecchi al suon della tua voce,
ed alla man veloce
che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
le vie dorate e gli orti,
e quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
quel ch’io sentiva in seno.


Che pensieri soavi,
che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
la vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
un affetto mi preme
acerbo e sconsolato,
e tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
perché non rendi poi
quel che prometti allor? perché di tanto
inganni i figli tuoi?

Tu pria che l’erbe inaridisse il verno,
da chiuso morbo combattuta e vinta,
perivi, o tenerella. E non vedevi
il fior degli anni tuoi;
non ti molceva il core
la dolce lode or delle negre chiome,
or degli sguardi innamorati e schivi;
né teco le compagne ai dì festivi
ragionavan d’amore.

Anche perìa fra poco
la speranza mia dolce: agli anni miei
anche negaro i fati
la giovinezza. Ahi come,
come passata sei,
cara compagna dell’età mia nova,
mia lacrimata speme!
Questo è il mondo? questi
i diletti, l’amor, l’opre, gli eventi,
onde cotanto ragionammo insieme?
questa la sorte delle umane genti?
All’apparir del vero
tu, misera, cadesti: e con la mano
la fredda morte ed una tomba ignuda
mostravi di lontano.











Quale è il fine della poesia? Sempre secondo Leopardi:

Grandissima parte dell'opere utili procurano il piacere mediatamente, mostrando cioè come ce lo possiamo procurare, la poesia immediatamente, cioè somministrandocelo. (Zibaldone)

La musicalità è un elemento essenziale nella comunicazione poetica. A parte la filosofia o la matematica (che solo un addetto a quel linguaggio può comunque sentire come musicale, a causa dell'armonia del costrutto logico) la poesia ha questo aspetto musicale, anche se in una certa dose è presente pure nella prosa


La prosa per essere veramente bella e conservare quella morbidezza e pastosità comporta anche fra le altre cose di nobiltà e dignità... che abbia sempre qualche cosa del poetico, non già qualche cosa particolare, ma una mezza tinta generale...(Zibaldone)


Basti pensare alla fine del romanzo I miserabili:


Era rovesciato all'indietro e la luce dei due candelieri l'illuminava; la sua faccia bianca guardava il cielo, mentr'egli lasciava che Cosette e Mario gli coprissero le mani di baci: era morto.

La notte era senza stelle e profondamente scura. Nell'ombra, certo, stava ritto qualche angelo immenso, colle ali spiegate, ad attendere l'anima. (V.Hugo, I miserabili)


Oppure


Addio/ monti sorgenti dall'acque- ed elevati al cielo/ cime inuguali/ note a chi è cresciuto tra voi/ e impresse nella sua mente/ non meno che l’aspetto de' suoi familiari/ torrenti- de' quali si distingue lo scroscio/ come il suono delle voci domestiche/ ville sparse e biancheggianti sul pendìo/ come branchi di pecore pascenti/ addio!/ Quanto è tristo il passo di chi/ cresciuto tra voi/ se ne allontana!// (A.Manzoni, I promessi sposi)


Inoltre è scontato che l'arte non è un mestiere e, come dice Leopardi,


Facoltà ridotte ad arte isteriliscono” (Zibaldone)


E Leopardi intravede quattro cause:


  1. Che nessuno pensa più ad accrescere una facoltà già stabilita ordinata composta e che si ha per perfetta

  2. ...quasi tutto il volgo di quelli che si applicano alla poesia non ardiscono di violare nessuna delle regole stabilite

  3. più comune alle persone di senno e giudiziose e capaci ed anche esimie è il costume e l'abitudine dal quale non si sanno staccare

  4. ...quando anche un bravo poeta voglia effettivamente astrarre da ogni idea ricevuta da ogni forma da ogni consuetudine e si metta a immaginare una poesia tutta sua propria, senza nessun rispetto, difficilissimamente riesce ad essere veramente, anche senza avvedersene, senza volerlo, sdegnandosene ancora, ricadrebbe in quelle forme, in quegli usi come un riozzolo d'acqua che corre per luogo dov'è passata altr'acqua...


Io penso che la poesia sia uno stato dell'uomo e che ognuno di noi la possieda internamente. Occorre soltanto quella emozione, quel fatto, quella visione che attivi il processo per cui la comunicazione diventi poetica. In un'altra frase dello Zibaldone, Leopardi in un confronto tra la poetica di Ovidio e quella di Dante loda il poeta fiorentino per la sua sintesi, dote che rende i versi più densi di forza comunicativa. Non ho parlato di Dante perché la sua creazione va oltre il poetare intimistico ed è un affresco dell'umanità, delle sue colpe e della sua ascesa a Dio. Quanto possente sia la espressione sintetica di Dante lo possiamo capire da questi pochi versi che narrano la fine di Troia e della sua Regina.

Dante, Inferno XXX


E quando la fortuna volse in basso

l'altezza de' Troian che tutto ardiva,

sì che 'nsieme col regno il re fu casso,

Ecuba trista, misera e cattiva,

poscia che vide Polissena morta

e del suo Polidoro in su la riva

del mar si fu la dolorosa accorta,

forsennata latrò sì come cane;

tanto il dolor le fé la mente torta.


In epoca romantica, Foscolo creò pure un poemetto in cui con un linguaggio alto ed aulico ed estremamente musicale estrae dall'umanità quanto di più nobile ed elevato sia stata in grado di esprimere.

A egregie cose il forte animo accendono

l'urne de' forti, o Pindemonte; e bella

e santa fanno al peregrin la terra

che le ricetta. Io quando il monumento

vidi ove posa il corpo di quel grande

che temprando lo scettro a' regnator

gli allòr ne sfronda, ed alle genti svela

di che lagrime grondi e di che sangue;

e l'arca di colui che nuovo Olimpo

alzò in Roma a' Celesti; e di chi vide

sotto l'etereo padiglion rotarsi

piú mondi, e il Sole irradïarli immoto,

onde all'Anglo che tanta ala vi stese

sgombrò primo le vie del firmamento:




Poesia, dal greco ποίησις , significa creazione, cioè l'Autore con la giusta scelta di parole e di metrica, crea un percorso quasi musicale percorrendo il quale scopriamo il suo mondo interiore. Poesia è comunicazione!