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Fenomeni di BRIGANTAGGIO a Petriolo nei primi anni del 1800.

G.Berchiesi

 

Il Comune di Petriolo ha recentemente acquistato un documento dei primi anni del 1800 relativo al processo ai due fratelli Paolo e Domenico Borgani, petriolesi, per atti di brigantaggio. Il documento è custodito presso il Museo De Minicis, insieme ad altri documenti e volumi antichi ed elenca i capi di imputazione contro i fratelli Borgani.

 

 I fratelli Paolo e Domenico Borgani, fino al 1808 svolgevano la funzione di BALIVI[1], il primo nel comune di Mogliano e il secondo a Petriolo. Paolo era il maggiore avendo all’epoca dei fatti 35 anni, Domenico era il minore. Dopo l’instaurazione del Dipartimento del Musone, questi uffici vennero cancellati e i due fratelli si trovarono senza lavoro e spinti da necessità si dettero a scellerati atti di brigantaggio.

Si legge infatti nel documento:

“Abbondanti di statura, robusti naturalmente per l’età, intraprendenti per lo spirito e coraggio, provvisti d’armi d’ogni sorta nell’esercitato mestiere, muniti artificiosamente di facoltà di portarle, come confessa Paolo col pretesto di farlo da Birri[2], da Guardiani di campagna, si abbandonarono alle ruberie, ai ladronecci, alle Concussioni e ad altri gravi delitti in vari e distinti luoghi degl’in allora confinanti Dipartimenti del Musone e Tronto.”

Molti delitti furono imputati ai due fratelli, e qui di seguito li indichiamo sommariamente:

 

PRIMO DELITTO

Domenico Marinozzi, detto il Longo, di Monte Vidon Corrado, incarcerato per latrocinio ed omicidio (per cui fu in seguito decapitato) confessò anche un crimine commesso con il Borgani il 25 Gennaio del 1808: datosi appuntamento con Borgani presso la Selva Bandini, vi si ritrovò oltre che con Borgani anche con Lazzaro Corradini, detto Fratò, e con tale Scheggia dove venne stabilito di assalire il Corriere Pontificio sotto la montagna di Scotono presso Valcimarra. Giunti sul posto però furono colti alla sprovvista dalla presenza dei carabinieri a cavallo che precedevano il Corriere. Abbandonarono quindi l’impresa e si diressero a Muccia, dove incontrarono un vettuarle, che assalirono e derubarono di:

a)      Pezza di cambrich

b)      4 o 5 canne di velluto nero

c)      fazzoletti

d)      sette/otto libbre d’argento

e)      una sessantina di scudi

La refurtiva fu poi divisa nella macchia di Bandini.

 

SECONDO DELITTO

I Borgani dopo l’Agosto 1814 vissero per due o più anni aggirandosi per le campagne e compiendo concussioni. La gente, quando li incontrava, poiché erano armati ed avevano una trista fama, facilmente dava denaro. Il carcerato ammette il girovagare contumace con le armi, ammette di aver ricevuto denaro, ma sostiene che era stato offerto per spontanea carità.

 

TERZO DELITTO

Il Borgani insieme al fratello Domenico usò violenza al Signor Felice Corradi[3] di Petriolo il 30 Aprile 1815. Durante il Regno Italico, il Corradi aveva inutilmente cercato di arrestarli, sicché alla caduta del Regno e all’avvicinarsi delle truppe austriache i Borgani lo presero, lo legarono e lo attaccarono al sito delle bestie da macellare e lo seviziarono davanti al popolo.

Ammette di sapere che Corradi volesse arrestarli, nega il concorso nelle violenze e anzi dichiara di aver cercato di salvare il Corradi.

 

QUARTO DELITTO

La sera del primo febbraio 1814, il detenuto Borgani, armato di coltello, ebbe una zuffa con Vincenzo Bartolini e lo ferì lievemente.

Il carcerato ammette la zuffa, ma nega di aver usato un coltello.

 

QUINTO E SESTO DELITTI

Nella notte fra il 24 e il 25 Gennaio 1814 il carcerato Paolo Borgani e il fratello Domenico si trovavano insieme ad una numerosa banda di malfattori fra i quali Corradini Fratò. Si presentarono alla casa del Curato della Chiesa delle Grazie a Petriolo, sig. Gaetano Albertini. Cercarono di entrare col pretesto di recapitare una lettera. Il parroco, essendo a conoscenza delle ruberie notturne, che accadevano, non aprì e resistette al tentativo di sfondare la porta. La perpetua fu presa di mira con una archibugiata allorché iniziò a chiedere aiuto dalla finestra, ma rimase illesa.

Il curato dovette cedere e attraverso la gattarola della porta consegnò 14 scudi e 90 baiocchi, una fila di pane e una forma di formaggio.

Partiti dalla casa del curato i masnadieri s’imbatterono in Pasquale Properzi. Cinque di loro gli si avventarono e gli rubarono l’unico papetto che aveva.

La colpevolezza può essere desunta

1)      dalla miseria dell’inquisito

2)      dalla deposizione giurata di Patrizio Sconcia, domestico del Curato.

3)      Dalla deposizione di Pasquale Properzi.

Inoltre Properzi confidò l’accaduto alla sua “Amasia” Clementina Mercuri, dichiarando di aver riconosciuto i due Borgani e Corradini. Clementina raccontò il fatto alla sorella Teresa maritata Occhioni e questa a Teresa Staffoli, detta Baraboglia.

La voce giunse alle orecchie del Borgani che colse di sorpresa il Properzi e gli intimò di attestare che non aveva ricevuto nessuna molestia. L’attestato gli fu rilasciato da Tommasi Annibali (Segretario Comunale). Quindi sia Properzi che Clemntina e Teresa negano il torto subito da Porperzi. Solo Teresa continua a parlare del fatto accaduto. Quindi ricondotte al tribunale di Fermo, confermarono la prima versione dei fatti. Nel frattempo la moglie di Borgani, Paola, circuiva la famiglia del Properzi con visite frequenti e doni.

I due Borgani negano gli addebiti.

 

SETTIMO DELITTO

Subito dopo aver commesso i reati precedenti, cioè nella stessa notte 24-25 Gennaio, alle ore 6 circa, i malfattori tentarono di entrare, sotto la falsa veste di Forza pubblica, nella casa di Giuseppe Calamita, contadino di Petriolo, forzando la porta. Calamita rispose con diverse archibugiate e, aiutato dai vicini allarmati dai rumori, mise in fuga i malfattori.

In seguito alla denuncia dei fatti, presentata da Calamita, fu eseguita una ispezione formale sulla porta per rilevarne i danni subiti.

Sia Calamita che sua moglie Settimia e gli altri vicini hanno riconosciuto fra i masnadieri Lorenzo Corradini, i Borgani, un garzone di Molinaro.

Borgani nega il delitto e dice di aver sentito dire, nelle carceri di Macerata, che altri siano stati gli autori.

 

 

 

 

OTTAVO  DELITTO

Nella precedente notte 23-24 Gennaio, alle ore 4, Giuseppe Vecchi, contadino di Petriolo, udì un calpestio e capì che si tentava un furto nel suo pollaio. Uscì di soppiatto dalla casa e stese a terra un ladro con un colpo di sasso, ma fu subito aggredito da altri quattro ladri che lo colpirono al braccio.

Fu costretto quindi a rifugiarsi in casa, mentre i ladri, recuperato il compagno steso a terra, se ne andarono.

Pochi giorni dopo fu ritrovato nell’aia del Vecchi un lumino di lanterna, che risultò essere di proprietà di Vincenzo Bolognesi. Data la strettissima amicizia fra Bolognesi e la famiglia Corradini, si pensò che uno degli autori del delitto fosse proprio Corradini, che in forma dubitativa lo stesso Vecchi credeva di aver riconosciuto.

Borgani nega adducendo la ragione che in quel periodo si trovava a Morrovalle

 

NONO  DELITTO

I Borgani fin dal 26 Agosto 1814 erano soggetti ad ordine di arresto dalla Corte di Giustizia del Dipartimento del Musone, ma riuscivano a sfuggire all’arresto, nonostante l’impegno della Forza Pubblica, essendo molto abili e svelti.

Il 28 Marzo 1815 si trovavano inzieme a Vincenzo Bartolini, detto Scheggia, nella Chiesa del S.S.Crocifisso di Mogliano, quando sopraggiunsero i gendarmi del regime Napoleonico per arrestarli. Ma essi opposero resistenza tanto da giungere al ferimento e alla sottrazione delle sciabole a due gendarmi.

I Borgani furono visti il detto 28 Marzo tornare a Petriolo con le sciabole tolte ai gendarmi, che poi furono consegnate (tre giorni dopo) al Sig.Ispettore di Polizia Corradi.

Il carcerato ammette la zuffa e il disarmo, ma pretende che gli venga riconosciuta la legittima difesa contro l’Assalto dei gendarmi.

 

DECIMO DELITTO

Sfondato il muro esterno e quello interno, nella notte tra il 23 e il 24 Settembre 1815, penetrò nella bottega dell’ “industriante” Gio.Battista Petrelli di Mogliano e rubò:

 

10 libbre di Bambagio filato

1 vacchetta

1 capra di Roma

1 Papetto

2 Cornetti con polvere sulfurea

 

Sebbene il Borgani ne incolpi soltanto Domenico Luciani detto Tallè, il quale poi fu imprigionato in Civitavecchia insieme a Paolo e Domenico Borgani, essi però furono visti procedere dal luogo del delitto con materiale voluminoso.

Inoltre la moglie di Paolo Borgani, Paola, dette un pezzo di vacchetta al calzolaio per confezionarci un paio di scarpe, anzi secondo una testimone se ne fece confezionare più di un paio, anche per i figli, e fece anche tessere del Bambagio in guarnello indossato dalla figlia con aria di vanto.

Borgani ha ammesso la deposizione del Petrelli, ma ha negato il furto e qualsiasi complicità.

 

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UNDECIMO DELITTO

Altro grave reato, non accennato precedentemente, è stata la grassazione commessa a danno di Luigi Lombi, ricco contadino di Mogliano. Il reato è stato commesso dal Borgani in collaborazione con Luigi Pierluigi Busbana, l’ultima notte di Carnevale 1816. Lombi tornava a casa verso le quattro della notte, dalla casa di Morresi nel territorio di Petriolo. Attraversando il Ponte sul Cremone viene assalito e sotto minaccia di morte, armati di schioppo e sgavezzo[4], lo derubarono di 6 colonnati effettivi e, pena la morte, gli intimarono di non parlare.

Successivamente Lombi si lamentò dell’accaduto con Morresi e soprattutto fece confidenza ad Anna Morresi (donna riservata) dell’identità dei briganti.

Borgani ammette di conoscere Lombi, di conoscere il ponte, nega di conoscere la relazione tra Lombi e la famiglia Morresi, Ammette di conoscere la grassazione solo perché riferitagli dai Morresi, che avrebbero voluto che egli si denunciasse, dato che erano stati in carcere perché non avevano deposto.

Borgani nega il delitto.

 

DUODECIMO DELITTO

Ai precedenti reati si accumula per la Caratteristica di Ladro Famoso (contestata all’inquisito dalla giustizia) il furto di molto salato del valore di 22,40 scudi al Signor Carlo Cupelli di Loro Piceno. Autori del reato sono stati Paolo e Domenico Borgani, insieme al loro cugino Giuseppe Borgani, Vincenzo Crispini, suocero di Giuseppe (ambedue reduci dalla galera), Saverio Crispini, figlio di Vincenzo e Francesco Manfrini, anch’egli di Loro, tutti in carcere tranne l’inquisito.

Il furto avvenne la notte tra il 6 e il 7 Aprile 1816. Il Cupelli non lo denunciò alla giustizia fino a Dicembre per paura dei Borgani, finché essi non furono arrestati e di conseguenza poteva stare tranquillo.

Inoltre testimonia l’associazione tra tutti questi malfattori una donna di “buone qualità”, sebbene fosse incinta illegittimamente, che descrisse l’arrivo dei due fratelli Borgani, la notte in casa del cugino Giuseppe.

Il Borgani nega il delitto.

 

 

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[1] Balivo (dal latino baiulivus, forma aggettivale di baiulus, "portatore") fu il nome di un funzionario, investito di vari tipi di autorità o giurisdizione, presente nei secoli passati in numerosi paesi occidentali (principalmente europei).

[2] Agenti di pubblica forza. Sbirri

[3] Durante il Regno Italico ricoprì la funzione di ispettore di Polizia

[4] Scavezzo: Fucile scavezzo a luminello. Italia del Nord inizio Sec. XIX. Canna finemente lavorata a due ordini di grosso calibro, dotata di meccanismo a scatto per la fuoriuscita del pugnale/baionetta alla catalana di ottima fattura a molla in avanti. Cassa in legno con ornamenti in ottone finemente lavorati. Bacchetta in ferro.