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ROBERTO SCARPELLINI: la nobilitazione del quotidiano

G.Berchiesi

 

Quando si osserva un’opera d’arte, che è una scrittura del mondo più o meno nascosto dell’autore, il percorso da effettuare è lungo. E’ vero che nasce subito un interesse (o un disinteresse), ma poi questa sensazione epidermica va assimilata e compresa, affrontando gradualmente i vari elementi comunicativi che l’autore usa per esprimersi.

 

 

La prima sensazione che si ha quando si osservano le tele di Roberto Scarpellini è la seguente: è assente il QUOTIDIANO, cioè il piccolo mondo che ci circonda. L’autore esce quindi dal vissuto quotidiano per vivere nel SUO SPAZIO, ricostruito dal passato, dove le agorà e i templi dorici hanno sostituito piazze ed edifici odierni.

 

 

E’ un mondo, il suo, dove non incontri l’uomo comune, ma si incontrano guerrieri, usciti dai miti greci.

 

E’ un mondo dove ci si imbatte in Chirone, dove la vendetta veste i panni del supplizio di Dirce ad opera di Anfione e Zeto.

 

 

E’ chiaro cioè che l’autore lava il suo mondo interiore nelle acque purificatrici della mitologia greca, la quale ha il merito di proporre in una veste di razionalità le pulsioni umane. E’ così che il supplizio di Dirce, perduta qualsiasi truculenza, diventa l’IDEA di vendetta, cioè un simbolo purificato in cui l’inizio (l’esistenza dei gemelli Anfione e Zeto) e la fine del racconto (il supplizio) convergono nella rappresentazione della punizione. Analogamente i guerrieri non sono l’esaltazione della lotta, ma è esaltazione del VIR che è in noi.

 

 

Questi guerrieri hanno suscitato un ricordo poetico in me:

 

 

 

Ah sí! da quella religïosa pace un Nume parla: 
e nutria contro a' Persi in Maratona
ove Atene sacrò tombe a' suoi prodi,
la virtú greca e l'ira. Il navigante
che veleggiò quel mar sotto l'Eubea,
vedea per l'ampia oscurità scintille
balenar d'elmi e di cozzanti brandi,

fumar le pire igneo vapor, corrusche

d'armi ferree vedea larve guerriere
cercar la pugna; e all'orror de' notturni
silenzi si spandea lungo ne' campi
di falangi un tumulto e un suon di tube
e un incalzar di cavalli accorrenti
scalpitanti su gli elmi a' moribondi,
e pianto, ed inni, e delle Parche il canto.

 


 
Il grandioso rivisitare le antiche gesta non è più cronaca militare, bensì elevato canto della grandiosità dell’ardire e del misurarsi del VIR contro le avversità.

L’ambientazione quindi in Scarpellini è “alta e nobile” come nei famosi versi, perché egli non disegna vecchi ricordi scolastici ma vive ad alto livello le sue emozioni con quella espressione tersa, tipica della Grecia classica dove era naturale estrarre dal vissuto l’IDEA e il RAZIONALE.

Ed anche quando abbandona il mondo greco, per esprimersi attraverso altre ambientazioni, queste possono essere la laguna della Serenissima oppure l’Alta Società.

 

Il suo sentire quindi rifugge dalla mediocrità che a volte alberga nel quotidiano.  Altri autori, ad esempio DUANE HANSON, hanno invece rappresentato questo mondo piccolo, fatto di netturbini, poliziotti, massaie....

 

In una ambientazione così nobile, l’autore usa un particolare linguaggio cromatico non realistico, basato su un nero invadente, che si spande sopra il verde trifoglio o si accosta ai rossi variabili tra il rosso veneziano e il rosso scarlatto. Pochi colori, perché non deve definire né ricreare una realtà, ma deve creare un legame con la sua “idea” di figura o ambiente. E’ con i diversi colori che elabora una fisicità dei personaggi, dove le parti del corpo sono scolpite dai diversi colori, a volte improbabili come colori naturali. Infatti i corpi costruiti con pochi tratti, sono resi scultorei dall’uso di chiazze di colore. Quando è necessario, l’uso dell’oro o dell’argento eleva ancora di più il messaggio nel piano della astrazione ideale.

E’ una pittura ricca di “agganci” che permettono di entrare in sintonia con l’autore, il quale necessita di valori forti e nobili per comunicare attraverso un modo espressivo dalla connotazione scultorea, ottenuta con una personale tecnica di cromatismo.

Con tale linguaggio, l’autore narra la vita, che, pur vestendo panni non comuni, a volte ti vede combattivo, a volte stanco, a volte ti fa remare dal buio alla luce. Quanto sia possibile leggere il vissuto nelle tele è chiaro dal quadro con le gondole in primo piano e sullo sfondo una Venezia onirica. Non c’è mare e non c’è cielo e non c’è un orizzonte che ne definisca la giunzione, è una città fuori da uno spazio reale, è un sogno a cui le gondole dell’anima sono pronte a portarti.

Sembrerebbe quindi che Scarpellini trasponga il suo vissuto in una dimensione ideale. L’insistere in ambientazioni classiche è una sua necessità intima perché è nella perfezione del mondo classico che il mondo delle idee è la realtà.

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